Bicicletta: Cos’è, come funziona e storia (quando tutto ebbe inizio)

bicicletta

Definizione di bicicletta

Bicicletta (dal latino bis: due volte e dal greco kyklos: cerchio).

La bicicletta è un popolare veicolo a due ruote, una direttrice e l’altra motrice, azionate dalla forza muscolare dell’uomo mediante pedali girevoli che trasmettono il movimento loro impresso dalle gambe a un ingranaggio (moltiplica) collegato per il tramite di una catena a un pignone dentato solidale con la ruota posteriore.

La bici è formata da un telaio, costruito di norma con tubi metallici saldati fra loro, al quale sono fissati anteriormente il manubrio di guida e la forcella che porta la ruota direttrice e, posteriormente la ruota motrice; sono fissati al telaio anche la pedaliera e gli organi di trasmissione, oltre al sellino sul quale prende posto il guidatore, i freni, il campanello, e il fanale.

Vi possono essere anche altri accessori vari, come lo specchietto retrovisivo, il contachilometri, le borse portaoggetti, il portapacchi, il cambio di velocità ecc. Le due ruote, sostenute dalle rispettive forcelle hanno, generalmente, lo stesso diametro e sono formate da un cerchione unito saldamente al mozzo per mezzo dei raggi. Ai cerchioni sono applicati i pneumatici che rendono più confortevole l’uso del veicolo.

La storia della bicicletta

Fin dall’antichità l’uomo cercò di sfruttare la ruota, la cui invenzione risale a tempi lontanissimi, per autotrasportarsi da un luogo all’altro con il minimo dispendio di energie. Pare che i Sumeri facessero uso di una ruota di pietra, attraversata al centro da un piuolo di legno che sporgeva dai due lati, per muoversi, e che andasse molto di moda; l‘atleta, stringeva con le mani le due estremità del manubrio, spingeva velocemente la ruota per imprimere una certa velocità dopodiché si sollevava in posizione verticale, in perfetto equilibrio, lasciandosi trasportare e rimanendo per tutto li tragitto con la testa in giù e i piedi in trito.

Lo stesso sport sarebbe stato praticato anche dagli Etruschi che avrebbero usato, pero, ruote di bronzo anziché di pietra; non è escluso che essi organizzassero e prendessero parte a delle vere e proprie competizioni di velocità sulla monoruota.

Agli antichi Greci venne attribuita l’invenzione di uno strano veicolo ad ali battenti mosse dalla forza umana mediante un semplice meccanismo; una raffigurazione di questo antenato della b, si può osservare su un vaso greco dell’epoca. Un veicolo del genere e riprodotto anche in una scultura conservata nell’antica cattedrale di Amiens in Francia.

Una sorta di monopattino, e cioè di un veicolo a due ruote spinto mediante la forza muscolare dell’uomo, appare anche in un antico frammento di scultura romana (attribuibile forse al 53 d.C.). Durante tutto il medioevo e fino al 1400 circa, non si ha notizia di veicoli azionati dalla forza delle gambe o delle braccia dell‘uomo.

Tuttavia. in un manoscritto latino intitolato “Epistola Rogerii Baconis, De secretis operibus artis et naturae” (I segreti dell’arte e della natura) redatto dal filosofo Ruggero Bacone intorno al 1247 appare una profezia circa la possibile costruzione, in avvenire, di «carrozze che senza essere trainate da animale alcuno viaggino con velocità incredibile, come noi udiamo dire degli antichi carri falcati…».

Nel periodo che va dal 1438 al 1449 l’italiano Jacopo Mariani, detto Taccola, progettò e forse costruì dei veicoli diversi azionati dalle braccia; ma già nel 1420 un altro italiano, un certo Giovanni Fontana, aveva realizzato un leggero carro a 4 ruote mosso dalla forza delle braccia grazie ad un ingegnoso meccanismo. Questo veicolo venne perfettamente ricostruito nel 1939 da Giovanni Canestrini, storico dell’automobile.

Anche Leonardo da Vinci disegnò, nel suo Codice Atlantico, due veicoli mossi dalle braccia (sono conservati nel Museo della scienza e della tecnica di Milano).

Per tutto il XV e il XVI secolo le invenzioni di veicoli azionati dalla forza muscolare delle braccia si susseguirono, si può dire, quasi senza sosta, ma soltanto nel 1610 un inventore romano (di cui si parla nel Codice urbinate conservato nella Biblioteca Vaticana) costruì il primo veicolo azionato dalle gambe e non dalle braccia. L’inventore fu il principe Francesco Peretti, un bisnipote di papa Sisto V. Il veicolo, una sorta di cocchio a 4 ruote e facilmente guidabile mediante una leva mossa dalle braccia, fece grande scalpore, avendo partecipato a una sfilata carnevalesca di carrozze infiorate appartenenti all’aristocrazia romana.

Una vettura simile sarebbe stata realizzata in Cina, nel 1620, dal missionario italiano Ricius, almeno secondo quanto scrisse l’inglese Samuel Purchas nella sua opera His Pilgrenage apparsa a Londra nel 1625. La notizia fu poi confermata anche da Henry Featherstone qualche anno dopo.

Da allora i veicoli meccanici azionati dalla forza umana non si contano più; gli inventori si sbizzarriscono a creare modelli d’ogni tipo, a quattro o a tre ruote, mossi dalle gambe o dalle braccia; di struttura semplicissima o elaboratamente carrozzati, con meccanismo anteriore o posteriore, particolarmente adatti agli uomini o anche ideati per le signore. Alla gara parteciparono anche famosi scienziati come Isacco Newton, per esempio, come il fisico matematico olandese Cornelius Mayer, o il fisico francese Beza. Il tedesco Bodener riuscì persino a realizzare un grosso carro, armato di cannone, il cui movimento era affidato alle gambe e alle braccia di due sole persone.

Il celerifero: la prima bicicletta

già dal 1791 qualcuno aveva pensato di costruire un veicolo a due sole ruote. L’inventore fu il francese Mede De Sivrac, che fece la sua prima apparizione in pubblico con il suo celerifero. Il veicolo era formato da una trave di legno orizzontale alla quale erano fissate, perpendicolarmente, due forcelle pure di legno che sostenevano le piccole ruote anteriori di una comune carrozza; le ruote potevano liberamente girare su due perni di ferro. Il De Sivrac per far avanzare il veicolo montava a cavalcionì sulla travetta orizzontale e dando dei gran colpi d! piede contro il terreno riusciva a raggiunga: una notevole velocità. Il guaio era che le ruote erano fisse e quindi il veicolo non poteva in alcun modo essere guidato; doveva «correre» seguendo una traiettoria diritta e quindi chi lo usava andava tranquillamente a sbattere contro qualsiasi ostacolo che gli si fosse parato davanti, anche perché sul cheval de bois non c’erano freni. Tuttavia uomini e donne furono entusiasti dell’invenzione che, dopo qualche tempo, venne chiamata il «celerifero».

Poiché il De Sivrac non si era preoccupato di far brevettare la sua invenzione, questa fu in seguito copiata da vari costruttori che chiamarono i loro modelli con nomi diversi; molti di essi sostituirono anche l’elementare travetta di legno con forme di animali diverse (leone, cavallo, aquila ecc).

Per dare un tono diverso ai modelli più elaborati questi non vennero più chiamati célerifères ma vélocifères; la persona che montava il veicolo era detto vélocìpède. Da questo deriverà poi il termine velocipede usato anche per indicare i veicoli spinti dalle gambe. Nel 1816, venticinque anni dopo l’invenzione del celerifero, il barone tedesco Karl von Drais costruì a Karlsruhe, in Baviera, un apparecchio di legno molto simile a quello del De Sivrac, ma che se ne distingueva in quanto la ruota anteriore era mobile in o a un asse verticale; il veicolo quindi po a essere guidato perché bastava far girare la ruota verso destra o verso sinistra per cambiare la direzione di marcia

Il velocipedede, o draisina

Il modello fu brevettato nel febbraio del 1818 con il nome di velocipede; ma tutti, poi, lo chiamarono draisienne (draisina). Il veicolo fu presentato ai parigini dallo stesso von Drais al Jardin de Tivoli; in seguito venne anche aperta una scuola-guida al Parc de Monceau. Ma la drasina era molto pesante e perciò non ottenne subito il grande successo che il barone si aspettava; questi rivolse allora la sua attenzione al mercato inglese, che grazie ad una forte pubblicità, alla fine gradì il prodotto.

Un sostanziale miglioramento alla draisina funzionante per mezzo di leve fu apportato, nel 1855, dal giovane operaio francese Ernest Michaux, nativo di Bar-le-Duc; dopo vari e infruttuosi tentativi di sostituire il meccanismo a pedane, egli pensò di applicare alle due estremità del mozzo della ruota anteriore altrettante pedeville, ovvero delle bielle munite di pedali per potervi appoggiare i piedi.

Il semplice meccanismo funzionava perfettamente, tanto che, dopo certi miglioramenti apportati dal Michaux al suo congegno, tutti i possessori di draisine si rivolsero a lui per farle modificare applicandovi il nuovo sistema di propulsione. Aiutato dal padre, proprìetario di una modesta officina meccanica, il giovane inventore perfezionò il suo veicolo imponendogli il nome di mìchaudine. La fortuna assistette i due artigiani che, in pochi anni, misero da parte un capitale non indifferente, tanto che pensarono di fondare uno stabilimento nuovo per la produzione della michaudine e di un nuovo modello di veicolo, in legno, che chiamarono biciclo Michaux.

Aprirono inoltre una scuola di biciclismo, che incontrò il favore della gente, in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1867. Al biciclo i Michaux applicarono anche una sorta di freno a paletta che agiva sul cerchio di ferro della ruota posteriore. Il biciclo era costruito interamente in ferro ed aveva una caratteristica ruota anteriore notevolmente più grande di quella posteriore (110 cm di diametro quella anteriore; 90 cm quella posteriore). Il primo biciclo Michaux apparve nel 1865 e già l’anno successivo si trovavano in commercio i modelli fabbricati dalla concorrenza, rappresentata da Favret, Ripert, Léfrève e Lallement, soprattutto. Cominciarono anche le innovazioni; così un certo Rivierre fabbricò in Inghilterra un tipo di biciclo nel quale la ruota anteriore era molto più grande di quella posteriore.

Il biciclo aveva una caratteristica ruota anteriore notevolmente più grande di quella posteriore (110 cm di diametro quella anteriore; 90 cm quella posteriore). Il primo biciclo Michaux apparve nel 1865 e già l’anno successivo si trovavano in commercio i modelli fabbricati dalla concorrenza, rappresentata da Favret, Ripert, Léfrève e Lallement, soprattutto.

Cominciarono anche le innovazioni; così un certo Rivierre fabbricò in Inghilterra un tipo di biciclo nel quale la ruota anteriore era molto più grande di quella posteriore; in tal modo si otteneva una maggior moltiplicazione e, ad ogni pedalata, si percorreva un più lungo tratto di strada. Il tedesco Meyer fu il primo ad usare tubi di ferro per il telaio, che acquistava così maggior leggerezza. Lo stesso Meyer applicò ai mozzi delle ruote delle bronzine che attenuavano gli attriti; a poco a poco le bronzine vennero sostituite da cuscinetti a sfera o di altro tipo. Il Suriray, nel 1869, inventò la sella di cuoio (la famosa selle cannée).

Ma i tentativi di migliorare il «biciclo» furono moltissimi e non sempre ebbero buon esito. Si giunse anche a portare il diametro della ruota anteriore a 140/150 cm. riducendo quello della ruota posteriore a soli 35/40 cm. Uno strano modello fabbricato dal francese Martin consisteva in una grandissima ruota centrale e in due altre ruote molto piccole fissate alle estremità di un telaio a forma di semicerchio; le tre ruote erano poste una dietro all’altra (1869). Si ebbero poi le ruote con raggi tangenti (1874). Nel 1877 venne costruito un biciclo la cui ruota anteriore misurava ben 2 m e cinquanta di diametro; vi era applicato un meccanismo di trasmissione detto parallelogramma. Oltre ai bicicli, la cui produzione continuò fino al 1888 circa, i costruttori, a partire dal 1869, si dedicarono anche alla creazione di veicoli a una sola ruota, detti monocicli; ingegnosissime furono le invenzioni a tale proposito.

Il primo monociclo

Il primo monociclo, azionato con la forza delle braccia, fu realizzato dal marsigliese Rousseau; era composto da un grande cerchione di ferro entro il quale si trovava un telaio a ferro di cavallo, al quale erano applicate tre rotelle che potevano scorrere entro un’apposita rotaia posta nella parte interna del cerchione, al quale era saldata anche una sorta di cremagliera, sulla quale s’ingranava una ruota dentata pure fissata al telaio; questa poteva essere mossa da un ingranaggio azionato a mano mediante due manovelle. Su una sbarra orizzontale facente parte del telaio era fissato un sellino, sul quale si accomodava il guidatore.

A questo primo tipo seguirono altri modelli azionati anche dalle gambe, come quello dell’inglese Jackson (1870), dell’americano Hobby (1870), del francese Burbanck (1882) e dell’italiano Scuri (1882). L’ultimo monociclo posto in commercio fu quello di un tedesco di cui si ignora il nome (1895). Tanto i bicicli che i tricicli e i monocicli presentavano un grave inconveniente: il viaggiatore era soggetto alle vibrazioni delle ruote a causa delle asperità del terreno; perciò alcuni inventori studiarono delle ruote elastiche in grado di rendere più comodo l’uso dei veicoli azionati dalla forza muscolare.

Tra i tipi di ruota elastica più originali ricordiamo quelle di Jules Truffault, del Latini, di Clément, ed alcuni modelli americani presentanti soluzioni diverse. I tricicli incontrarono a lungo il favore del pubblico soprattutto perché erano più sicuri, e, in un certo senso anche più funzionali, da quando ad essi era stato applicato un sistema differenziale che permetteva un miglior comportamento del veicolo in curva.

Oltre ai tricicli e ai bicicli, intorno al 1890, apparvero anche i quadricicli (modelli Coventry, Quadrant ecc.), sui quali potevano esser trasportati più persone. Frattanto il veicolo a due ruote si era andato notevolmente evolvendo. Al 1876 si fa risalire la data di nascita del primo bicicletta, del veicolo a due ruote con trasmissione del movimento alla ruota posteriore mediante una catena. Anche di questo nuovo veicolo a pedali e trasmissione a catena furono costruiti numerosissimi modelli, dei quali il più originale, fu certamente quello dell’italwamericano Latta (1888). Quello che in Italia era chiamato bicicletta era detto velocipede in Francia, bycicle in America e safety bicycle in Inghilterra.

Perchè il bicicletta si trasformasse nella moderna b. non mancava ormai che l’applicazione dei tubolari pneumatici alle ruote; ciò si deve allo scozzese John Boyd Dunlop, che all’inizio del 1889 autorizzò il costruttore di velocipedi William Hume a munire di gomme un suo nuovo modello di bicicletta, chiamato byciclette humeatie. Subito tutti gli altri fabbricanti fecero uso, per le ruote dei veicoli da essi costruiti, dei pneumatici ideati dal Dunlop, che fece così la sua fortuna. Da allora la b., salvo per alcune innovazioni di carattere tecnico, è sempre rimasta tale e quale. Venne prodotta in modelli diversi sia per la forma che per la destinazione (modelli da turismo, da corsa, da uomo, da donna ecc), ma sostanzialmente non è mutata. Diversa fortuna la b. ebbe nei modelli a posti multipli come il tandem o dupletta (a due posti), la tripletta, la quadrupletta, la quintupletta fino alla decupletta Argentea costruita dalla ditta Tappella di Milano nel 1940. Alla comune b. fu in seguito applicato anche un piccolo

Le prime aziende italiane produttrici di biciclette

la Cappelli e Maurelli, di Milano (1890); nel 1896 sorse la Maine (Alessandria); nel 1897, a Tradate, la Frera; nel 1899 la grande industria Bianchi; e poi ancora la Lygie, l‘Atala, e, nel 1910, la Luigi Ganna, specializzata in b. da corsa su strada. Altre fabbriche importanti furono la Dei di Milano, la Legnano, fondata da E. Bozzi, la Olympia, la Velox, la padovana Torpado, ecc.

Già fin da quando il marchese De Sivrac inventò il suo cheval de bois lo spirito agonistico spinse gli appassionati ad organizzare gare di velocità magari lungo i boulevards parigini e, più tardi, dopo l’avvento della draisina, anche competizioni di resistenza su lunghi percorsi. Con la fondazione a Parigi, nel 1867, del primo giornale sportivo francese, «Le Vélocipède», e con la costituzione, nello stesso anno, del Veloce Club di Parigi ebbero inizio le competizioni ciclistiche organizzate. La prima di queste ebbe luogo a Parigi, lungo i viali del Pare Saint-Cloud, su un percorso di 1.200 m, e fu vinta dall’inglese J. Moore. In seguito altre gare si svolsero a Saint-Hilaire, a Charenton, all’Hippodrome de Paris ecc.

Ben presto venne stilato anche un regolamento che servì poi di base a quelli redatti dalle varie società velocipedistiche che sorsero numerose in quegli anni. Si trattava per lo più di gare di velocità, di gare a vantaggi, di corse con ostacoli (anticipazioni dei moderni cross-country); di gare di resistenza su strade. Vi furono anche competizioni originali come le gare di lentezza o le gare di acrobazia, nelle quali i concorrenti, mantenendosi in piedi sul biciclo, dovevano compiere equilibrismi vari. Non mancarono neppure le corse dedicate alle signore, che destavano grande interesse negli spettatori.

Le prime corse di bici su strada con bici da corsa

La prima corsa su strada di bici da corsa si ebbe nel 1868, sul percorso di 34 km da Tolosa a Caraman. Fu vinta da un certo Lèetard che impiegò 3 h e 9 min. a coprire la distanza. Il 7 novembre dello stesso anno ebbe anche luogo la prima Parigi-Rouen, di 126 km, organizzata da «Le Petit Journal». La prima gara inglese, la Londra-Brighton (1869), vide partire solo tre concorrenti; la corsa fu seguita in diligenza da un unico giornalista, un certo Meredith del «Time».

Nel 1870 a Milano venne fondato il Veloce (Iub Milano che organizzo, l‘8 gennaio um. tl Giro del bastoni (il km), VINO da (nuseppe Pasta in 37 mm ; nel dicembre ebbe anche luogo una gm di velocrtù da Porta Venezia a Porta Tenaglia (3 500 m; Vinse Stefano Johnson). e la Mda~ no-Novara di 4o Km. Anche le corse su pista continuarono presto. e in partimlare a Milano. dove su costruirono piste in terra. in legno ed anche m cemento. Nelle vane speculum (velocrtà, Insegutmento, chilometro da iermo. mezzofondo. in tandem. dietro allenaton. per professionisti o per dilettanti) s: segnalarono l nomi dei nostri Vern (1906); Mamnetti (1926) e poi, in giorni più VICll’ll. Maspes, Gaiardoni, Beghetto e ancora Coppi. Bevrlacqua, Messina, Faggio, Baldtni, Frosto, Sacchi ecc.; tra i pionieri del nostro Ciclismo su pista dobbiamo ricordare Tarlanm. N. Pasta, Gardellin. Tomaselli. Moretti. ecc. Assi delle corse su strada, agli albori del Ciclismo internazionale, furono gli italiani Azzini, Albini, Borgarello, Lucotti, Micheletto, F. Gay, Ottavio Bottecchia, Giovanni Brunero, Bartolomeo Aymo, Learco Guerra. Luigi Ganna e Martano, Morelli. Vietto. Camusso; ed ancora Girardengo. Binda, Mac gni. Cuniolo. Bartali, Fausto Coppi, Gerbr, Belloni, Favalli, Bergamaschi, fino ai più recenti Baldini, Adorni, Bitossi, Gimondt. Maser. Saronni ecc. Tra i grandi nomi degli stranieri citeremo soltanto: i fratelli Pelissier. Tenant. Lapìze, Souchard, Ronsse, Van Stenbergen, Van Loy. Kublcr. Verwaeckc. Debruyne, Pelissier, Bobet, Poulidor, Eddie Merckx e Bemard Hinault. Attualmente le più importanti corse su strada a tappe sono: il Tour de France, iniziato nel 1903, il Gm) d’Italia, la cui prima edizione ebbe luogo nel 1909; il Giro della Svizzera, quello di Spagna. Tra le classiche ricordiamo: la Parigi-Bruxelles (prima edizione nel 1893); la Liegi-Bastagne-Liegi (1908); la Pan‘gi-Tours; la ParigiRoubat’x; la Milano~Sanremo (1907); la MM 110Torino (1903). Altre competizioni di intom totemmonale sono anche I] Can di Lombarda (190‘); il Gtm delle hand” (I91 3). II (ima dd Moat: (1906). la Malano Modem (1906). d (itm del Veneto (1907); h Tre 1th Vamtne (1919). la Fm Valiant U916). 11 6m Prermo Computi (Lagnm). h Pensi-Ma: . la Coppa Dentaria; ll Tmleo Baracchi. 03m anno ll Ctdtsmo vede anche dtsputam i amptonatt muons]: m and; e su pula; e Il campionato mondtale un pct dt1ettmtt. su per pmfesstontstt. su pm: e su nuda. Ct sono poi anche le Ohmpndt che su svolgono ogni quattro anni in omoomatnm con t Gtocht Oltmptci. alle quad: possum paneapave solo 1 dtlettantt. 0h “alum che vmsero {mora i Giochi Ohmpo furono. su ptste. Ghe11i ne1 1948; Sacchi ( WI). (mardoni (1960); Pettenella (1964): F n (1956) e ancora Gaiardoni oe| 1960 (x x a nu 1 000 m); nell’mseguimento a sq e gtt “alum vmseto nel 1920, 1924. I 32. 1952. 1956. 1960; su tandem f: tre sole wttone, nel 1948. 1960, 1964. Neue ( ud: su strada ottennero la medaglia don) Paws: (1932); Baldini (1956); 2mm (1964) e Vumeui (1968). Nella gara a quadre 1 nostn vansero soltanto nel 1932 e nel 1960 Net amptonati mondiali su strada h “non: emse 11 tnoolore 7 volte (profesnonno) e 15 volte (dtlettanti). Tre sole “none ottennero gii ltaltam nella prova a squadre Net camptonati mondtali su pista Huh: ottenne oomplessnvamente 35 vittorie (n profewomsu e dtlettanu. Nel 1885 venne fondata a Pawn 1’Umone Velocipedistt’ca Italxm. Che nel 1964 venne trasformata in Fedmmone Grimm: Itahana. con sede a Roma. e alle dipendenze del CONI.